Omicidio Calcagno, il licatese Cassaro killer in trasferta con l’ombra della mafia? La difesa: “Immagini non nitide, scarceratelo
Il provvedimento di fermo del pregiudicato licatese scaturisce dall’esito di una complessa attività investigativa sviluppata dai militari del Nucleo investigativo del Reparto operativo di Catania assieme ai militari della Compagnia di Palagonia e della Stazione di Riesi, che d’intesa con il Procuratore di Caltagirone, lo scorso 29 Agosto chiesero ai cittadini una grande prova di senso civico mediante la diffusione ai media delle immagini delle fasi salienti dell’omicidio Calcagno.
«Sono arrivate diverse segnalazioni in forma anonima, anche provenienti da Palagonia, che indicavano l’autore del delitto con nome e cognome», spiega in conferenza stampa il comandante dei carabinieri di Catania, Francesco Gargaro. Nel territorio calatino Cassaro era un volto abbastanza conosciuto grazie alla sua professione. Ultimamente oltre a fare l’operaio si era inserito nel business delle macchine per il caffè. Una sorta di rappresentante porta a porta che si muoveva nelle province di Agrigento, Caltanissetta e Catania.
Questo il comunicato ufficiale dei carabinieri:
Il 23 agosto 2017, alle ore 08,30 circa, in Contrada Nunziata di Palagonia, in un fondo agricolo di sua proprietà, tra i filari di agrumi, veniva rinvenuto il cadavere del 58enne Francesco Calcagno, attinto da alcuni colpi d’arma da fuoco.
La vittima, coinvolta nell’ottobre dello scorso anno in una sparatoria all’interno del “Caffè Europa” di Palagonia, nel corso della quale rimaneva ucciso il 55enne consigliere comunale Marco Leonardo, dopo aver scontato un periodo di detenzione in carcere ed un altro di detenzione domiciliare in una località del nord Italia, dall’aprile di quest’anno era tornata in libertà, rientrando a Palagonia, in attesa del giudizio, che si sarebbe dovuto svolgere a breve.
Le indagini, immediatamente avviate dall’Arma senza trascurare alcuna ipotesi, partivano dai fotogrammi recuperati dalle videocamere di sorveglianza installate nella proprietà del Calcagno, che avevano ripreso alcune parti salienti dell’omicidio. Sin da subito, quindi, gli investigatori avevano contezza dell’autore del grave evento delittuoso, con il difficile compito di dargli un nome ed una identità certa.
Esaminate tutte le posizioni dei soggetti d’interesse a livello locale ed avviati riscontri di carattere scientifico per l’individuazione di elementi significativi di prova su quanto repertato in sede di sopralluogo, le attività venivano sviluppate con l’estensione delle ricerche del soggetto in un campo sempre più allargato.
Dapprima con la diramazione delle foto ai vari Comandi dell’Arma sia a livello regionale che nazionale e quindi, con il pieno assenso della Procura della Repubblica di Caltagirone, che nel frattempo aveva assunto la direzione delle indagini, veniva valutata e poi decisa la scelta di coinvolgere i media e quindi una larga parte della popolazione, divulgando una sequenza del video registrato dalle telecamere di sorveglianza.
La scelta si rivelava sin da subito efficace, poiché iniziavano a pervenire sui numeri messi a disposizione dall’Arma alcune segnalazioni, puntualmente oggetto di verifica e approfondimento. Una di queste, in effetti, segnava la svolta nelle indagini per dare un nome all’assassino. L’indicazione di un soggetto residente nella provincia di Agrigento, dopo le prime immediate verifiche, corrispondeva in maniera significativa alle caratteristiche fisiche del ricercato.
Venivano avviati servizi di osservazione ed approfondimenti sulla personalità del soggetto, che non facevano altro che avvalorare sempre di più la convinzione di essere sulla pista giusta.
Attività ininterrotta che nella giornata di ieri si concludeva con il fermo di indiziato di delitto operato nei confronti del pregiudicato 49enne Luigi Cassaro, dopo la conferma oggettiva pervenuta dalle analisi tecnico-scientifiche del Ris di Messina, con la comparazione del dna prelevato al soggetto e quello rinvenuto sulla scena del crimine.
Cassaro, rintracciato presso la sua abitazione di Licata (AG), al momento dell’irruzione non opponeva alcuna resistenza, chiudendosi in un ostinato mutismo, tradito soltanto da qualche segno di nervosismo all’atto di conoscere che i Carabinieri che stavano operando erano quelli di Catania e Palagonia.
Lo stesso è stato associato al carcere di Catania Piazza Lanza a disposizione della Procura della Repubblica di Caltagirone.
Di Luigi Cassaro si sapeva che fosse vicino ad ambienti criminali ed era finito un paio di volte nelle maglie della giustizia. Per la prima volta venne alla ribalta della cronaca in occasione dell’operazione “Sciacallo” del 2007 che i media descrissero così: Lo scorso 20 novembre sono state arrestate 15 persone per estorsione legate al clan mafioso Alabiso – Greco di Licata.
I provvedimenti sono stati eseguiti a Licata e Palma di Montechiaro in provincia di Agrigento. L’inchiesta è stata coordinata dal Procuratore di Agrigento Ignazio De Francisci e dai sostituti Adriano Scudieri e Luca Sciaretta.
Una indagine nata alla fine del 2005 dove è emerso che elementi delle due famiglie Greco e Alabiso avrebbero gestito il giro dell’usura. La “banda” prestava denaro a tassi “esorbitanti” (fino a 360% l’anno) ad imprenditori in difficoltà economica che non potevano accedere a prestiti bancari. Ritardare i pagamenti non era concesso. Arrivavano immediatamente minacce “pesanti”.
A capo dell’organizzazione criminale c’era Vincenza Cellura, 80 anni, vedova del boss mafioso di Licata Paolo Greco. Con la donna sono stati fermati anche i suoi figli Antonino Greco 37 anni, pregiudicato, già agli arresti domiciliari nell’ambito di un’altra inchiesta, Domenico Greco 48 anni e Angelo Greco, 57 anni.
Inoltre su disposizione della Procura di Agrigento sono stati arrestati; Salvatore Alabiso, licatese di 49 anni, pregiudicato per associazione mafiosa, Gaetano Greco Polito, licatese di 61 anni; Bernardo Dainotto, licatese di 53 anni sorvegliato speciale; Luigi Cassaro, licatese di 39 anni, incensurato; Salvatore Catania, agrigentino, 52 anni, incensurato;Giuseppe Marotta, licatese, 29 anni; Stefania Cannistraro, palermitana, 29 anni; Luciano Montana, licatese, 32, Carmelo Rallo, agrigentino, 37;Mario Rallo, di Palma di Montechiaro, 59; Angelo Greco, licatese 20 anni. Tutti sono stati destinati nel carcere di contrada Petrusa ad Agrigento. Mentre per Salvatore Catania e Vincenza Cellura sono stati disposti gli arresti domiciliari.
I fermati devono rispondere a vario titolo di associazione per delinquere, usura, estorsione, riciclaggio, detenzione ai fini di spacci di sostanze stupefacenti, porto e detenzione illegale di armi comuni da sparo.
Poi, nel 2011, il 20 luglio, quando gli agenti della Squadra mobile di Agrigento e del Commissariato Polizia di Licata, al termine di una complessa indagine, arrestarono il licatese.
A seguito di una perquisizione operata in contrada Cannavecchia, in territorio di Licata, gli agenti hanno rinvenuto una pistola marca Beretta, calibro 7,65, con matricola abrasa, con relativo munizionamento; una pistola Walther calibro 9, con relativo munizionamento e priva di punzonatura (quindi illegalmente importata in Italia); un camion ed un escavatore modello bob cat risultati provento di furto commesso il 17 luglio 2011, a Canicattì ai danni di una ditta di Termini Imerese impegnata nella realizzazione dell’impianto di video sorveglianza del territorio di Canicattì.
Era stata proprio una segnalazione giunta alla Questura della possibile presenza di mezzi rubati presso l’abitazione del Cassaro a far scattare i controlli dei poliziotti della Mobile e del Commissariato di Licata. Nel corso della perquisizione, però, oltre ai mezzi rubati, sono state rinvenute e sequestrate anche le due pistole perfettamente funzionanti.
Il mutismo dell’uomo arrestato – la cui figura in passato è stata certamente sottovalutata – non facilita le indagini.
Adesso bisognerà vedere, attraverso le investigazioni, che tipo di killer è Cassaro.
Se la sua mano è stata armata da motivi di vendetta oppure se la sua azione sia frutto di un mestiere, ossia chiamato a pagamento per uccidere.
In quest’ultimo caso si aprirebbero scenari davvero impensabili.
Almeno sino ad ora.
Intanto gli avvocati difensori di Luigi Cassaro, 50 anni, di Licata,chiedono la scarcerazione del loro assistito. I legali del licatese lo hanno chiesto, ieri, ai giudici del Tribunale del Riesame di Palermo, in quanto le immagini, secondo quanto asserito dagli avvocati stessi: “non sono nitide, non si vede pressoché nulla”.